Un viaggio che, grazie al giro d’Italia dell’anno scorso (6300km in 104 giorni), ho saputo affrontare in maniera diversa, sapevo che mi sarei dovuto riabituare a stare in sella per giorni e al vivere all’aperto e così ho fatto, senza forzare, dando il tempo al tempo.
Sono partito pedalando 70/80 km al giorno senza grosse pretese, dormendo in campeggi e lavandomi tutti i giorni. Poi pian pianino ho imparato ad assecondare la pioggia, il tutto senza uscire dalla mia confort zone, ma allargandola pian piano.
Ho iniziato ad avere molto contatto con le persone il Francia e Belgio, ho trovato le prime ospitalità in Olanda, attraversato la Germania del nord dormendo nelle fattorie, pian pianino ho abbandonato gli ultimi confort come la doccia. Alla fine, dopo aver pedalato tutta la Danimarca ho traghettato in Norvegia, questa lunghissima striscia di terra che all’inizio mi ha messo a dura prova.
Mi respingeva con i suoi scrosci d’acqua imprevedibili, mi metteva in difficoltà con le sue distanze e mi disturbava il sonno con le pochissime ore di buio, ma dopo i primi 600km sono entrato in simbiosi con lei e la sua natura. Ho capito che è un posto dove la meritocrazia vale: più tu soffri e fatichi, più lei ti stupisce.
Le mattine in cui pioveva troppo per partire e pedalare erano buone occasioni per fare esperienze un po’ diverse dal solito, come quando ho cucinato 2 merluzzi che mi ero pescato poco prima o come quando nell’Artico Erik mi ha ospitato a casa sua e senza chiedermi nulla mi ha messo a disposizione un intero appartamento e mi ha regalato mezzo kilo di carne d’alce cacciato da lui.
Poi ci sono anche le giornate difficili, come quando la notte non hai un posto dove dormire o quando ti trovi a pedalare con l’influenza, la pioggia che non cessa e il vento che taglia la faccia.
Sono sicuramente troppi i momenti difficili da dimenticare, come quando ho condiviso con 2 italiani un merluzzo che un pescatore mi aveva regalato poco prima. Essere sulla riva di un fiordo, con la griglia accesa e l’aurora boreale nel cielo è uno di quei momenti che ti fa dimenticare da quanto non ti fai una doccia o quante notti hai passato da solo in tenda; ti scivola addosso tutto.
Poi si, per concludere il 7 settembre sono arrivato a Nordkapp, dopo 4792 km e con un sacco di stanchezza addosso. Quello è un momento speciale, personalmente ho rivissuto a ritroso tutto quello che mi ha portato qui, ora fra le casette in legno isolatissime, prima fra quelle ad archetto in Germania e prima ancora erano tutte diverse ad Amsterdam, poi però ho ripensato ancora più indietro, alle domeniche nel reparto trekking di Bevera, ai miei studenti e ai bambini durante gli allenamenti di judo, sino al viaggio dell’anno scorso, sino a quando ero elettricista, con il mio lavoro sicuro e il cassetto pieno di sogni, avevo paura di aprirlo e mollare tutto, mi chiedevo cosa sarebbe successo, chi sarei diventato e se sarebbe davvero servito.
Ora sono qui, davanti al mio sogno e lo vedo per quello che è: il nulla, un pezzo di ferro arrugginito, l’oceano e la tundra, il luogo perfetto per concludere un viaggio così, perché nel nulla che ti circonda capisci davvero che la meta è il viaggio stesso, un viaggio fatto di esperienze che seduto sul divano non sarei riuscito a fare.