Un appuntamento speciale, che ha visto protagonisti tre icone dell’alpinismo mondiale: Hans Kammerlander, Simone Moro e Krzysztof Wielicki. “Ci voleva qualcosa di unico” ha detto Sergio Longoni, patron di DF Sport Specialist, celebrando una lunga storia di passione condivisa con il pubblico. “Gli alpinisti hanno il fuoco dentro. Hanno sempre qualcosa da raccontare, perché vivono l’avventura, ecco perchè ho scelto loro per questa serata speciale”.
Tre uomini diversi ma accomunati dallo stesso ardore. Hans Kammerlander, autore della prima discesa con gli sci dall’Everest e compagno di Messner negli ultimi Ottomila; Krzysztof Wielicki, quinto uomo a salire tutti i 14 Ottomila e primo a conquistarne tre in inverno; Simone Moro, pioniere dell’alpinismo invernale e ormai voce narrante dell’alpinismo moderno. Sul palco hanno portato aneddoti, ironia e riflessioni profonde sul rapporto con il limite, la responsabilità e l’etica della montagna.
Non c’è un’età per sognare
Wielicki, Kammerlander e Moro non rappresentano solo imprese leggendarie, ma incarnano la forza del sogno che si trasforma nel tempo. Il loro percorso testimonia come l’alpinismo sia prima di tutto una sfida con se stessi, una ricerca continua che evolve seguendo le stagioni della vita.
“Da ragazzo sognavo la prestazione - racconta Moro - ma presto ha compreso che la vetta è solo un luogo di passaggio. E in questo mi hanno aiutato molto la storia, l’esperienza: non c’è un’età per sognare. Ma c’è il sogno giusto per ogni età. Cambiano le priorità, cambiano i progetti, e non bisogna avere paura del cambiamento. Non significa smettere di essere alpinista. Significa maturare”.
Hans Kammerlander, colui che ha portato lo sci estremo sugli Ottomila, ha imparato a sciare su due pezzi di legno lavorati da suo padre.
I sogni non costano nulla. Io vengo da un’infanzia povera, in un maso, e l’incontro con Reinhold Messner mi ha permesso di conoscere l’Himalaya, per me è stato un vero maestro. Poi io ho iniziato a voler unire due passioni, lo sci e l’alpinismo: se guardo indietro alle imprese che ho fatto, posso dire oggi che era follia. Un giorno ho sentito che non avevo più motivazione per ripetere le stesse sfide, e ho cercato nuove avventure: ho girato tutti i continenti, le Seven Summits, scegliendo sempre la seconda cima più alta del mondo. Ho vissuto bellissime spedizioni in luoghi remoti e difficili.
Krzysztof Wielicki, leggenda dell’alpinismo polacco ha portato la voce di un’altra epoca, fatta di sogni semplici e amicizie forti.
Per noi la cosa più importante erano i sogni. Ci guidavano i sogni e la fame di emozioni, che sembrava non saziarsi mai. Di tante salite, la più importante è stata quella al Nanga Parbat in solitaria dalla Via Kinshoffer, con cui ho chiuso i 14 ottomila nel 96. Oggi non vado più sugli Ottomila, vado in esplorazione con amici, come una famiglia. Non è più questione di record, è viaggiare, conoscere, stare insieme.
Hans Kammerlander ha ricordato la propria giovinezza ribelle e l’importanza del rischio:
Una grande avventura senza rischio non esiste. Forse io ho rischiato troppo. Se guardo indietro e vedo l’inizio della mia carriera, posso dire che ero totalmente folle. Poi, a quarant’anni, ho iniziato a pensare alla sicurezza e ho cambiato meta. Ho visto tutti i continenti, con le Seven Summits. E continuo a sognare.
Passato e futuro dell’alpinismo
Secondo Moro, il futuro dell’alpinismo è vivo e passa dalla fantasia. “L’importante è saper uscire dagli schemi, e avere fantasia. una volta ci voleva fantasia per immaginare dove si trovava Messner, dove si trovava Bonatti, dove si trovavano quelli che ci facevano sognare. L’esercizio di fantasia è uno degli esercizi più importanti nell’alpinismo, perché spinge a creare il proprio progetto.”
“Noi eravamo quasi sempre da soli con la nostra spedizione - aggiunge Kammerlander -. Era bello, amo i luoghi remoti. Oggi l’Everest è pieno ma questo non è più alpinismo, è più un carnevale. Mi dispiace un po’ perché penso che una grande avventura senza rischio non esiste. Oggi molti cercano di eliminare ogni incertezza, ma l’alpinismo non è questo. È cercare una via, assumersi responsabilità e sapere che l’imprevisto fa parte del gioco. Io i primi anni ho rischiato forse troppo, al limite della follia, ma non ho smesso di immaginare e ricercare.
Wielicki aggiunge una riflessione sull’amicizia. “La più grande differenza col passato è che allora c’era più cooperazione: prima si faceva la squadra e poi la montagna, e si creavano legami unici. Oggi vedo che è diverso, a volte si mettono insieme sconosciuti e secondo me è un valore perso”.
“L’alpinismo non è affatto morto - chiude Moro -. Se vuoi fare la storia, bisogna andare oltre le vie battute, non salire sull’Everest a maggio, quando è un carnevale, ma farlo in altri periodi o condizioni. La storia ci aiuta: indica sempre la direzione”.
Raccontare l’alpinismo, una sfida sempre più difficile
“Oggi è cambiata la velocità con cui si comunica ed è cambiata la profondità con cui la si percepisce - riflette Simone Moro -. L’alpinismo è invece un’esperienza che richiede lentezza e profondità, proprio come leggere un libro o affrontare la salita di un 8000. I social media sono uno strumento potente, ma spesso vengono usati come fine a sé stessi, privilegiando immagini immediate e di successo. A volte non passano paure, rinunce e fatica che stanno dietro a ogni impresa, non c’è più spazio per l’immaginazione rischiando di banalizzare e svuotare il senso profondo dell’alpinismo”.
Secondo Moro, oggi è anche più difficile attirare attenzione sui progetti veri e autentici: “Giovani come Simon Messner, Simon Gietl, François Cazzanelli, Matteo Della Bordella stanno facendo cose bellissime, ma spesso manca l’attenzione dei media. Per loro emergere sarà una grande sfida. Ma raccontare dev’essere un impegno di tutti”.
Kammerlander gli fa eco: “I giovani ci sono, e sognano ancora e sono bravissimi. Alcuni hanno progetti belli, altri fanno fatica a immaginarli perché pensano che i grandi traguardi sono già stati raggiunti. Eppure, nuove possibilità ci sono ancora, per esempio la discesa con gli sci di tutti i 14 ottomila. Rischiosissima, ma una grande sfida”.
Quando si chiede che cosa resti davvero, dopo una vita passata sulle vette più alte del mondo, è Krzysztof Wielicki che risponde senza esitazione con la saggezza maturata sulle vette più estreme :“Rispetto. Rispetto per la montagna. È la cosa più importante che ho imparato.”
La serata si è chiusa con larghi applausi e un pensiero rivolto a Reinhold Messner, assente per motivi di salute.
“Sono orgoglioso di aver ospitato tre personaggi incredibili, ma anche tre amici - ha detto Longoni -. Questa serata resterà nella memoria di chi c’era.” Sul palco, insieme ai grandi ospiti, erano presenti anche Valerio Annovazzi, alpinista e guida alpina, e Mario Panzeri, himalaysta lecchese tra i pochi italiani ad aver salito tutti i 14 Ottomila.
Longoni ha ribadito quanto sia un onore ospitare da DF questi grandi personaggi sportivi e soprattutto il folto pubblico, entusiasta della serata. “Vi abbraccio tutti veramente di cuore - ha detto con un filo di commozione - perché mi date e mi avete dato tanto. Una grande energia. Grazie a tutti di essere tutti qui con noi”, ha aggiunto, sottolineando il valore umano e affettivo che accompagna da sempre questi incontri.
Un ringraziamento speciale è andato ai conduttori Luca Calvi e Vinicio Stefanello, ai musicisti Erica Boschiero e Sergio Marchesini, e a tutti i collaboratori che hanno reso possibile l’incontro.
La serata di “Alpinismo di vita” ha confermato come, nonostante tutto cambi, il fuoco dell’alpinismo continua a bruciare alimentandosi di passione, avventura e soprattutto sogni.